VADO A PREGARE AL MIO FUNERALE di Salvatore ROMANO recitata da Rodolfo LETTORE
COMMENTO DI GIORGIO LINGUAGLOSSA
Caro Salvatore, ho letto il tuo libro. Conosco la tua poesia che gira, da sempre, intorno ad un unico focus: l'amore divenuto problema nel tempo della implosione del simbolico, l'impossibilità dell'amore in una società imperniata sul valore di scambio e sulla reificazione dei rapporti umani. E tu sei uno dei più bravi in questo genere di poesia. Saluti. g.l.
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Ebook e cartaceo
"... non solo ho apprezzato il libro, ma ho proposto la lettura di alcune poesie nella serata che organizziamo da anni, con Daria Bonfietti, per Ustica, il 10 agosto. Sono state lette da alcuni giovani dei Cantieri Meticci di Bologna con vivo apprezzamento da parte del pubblico presente."
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NIVA LORENZINI
Sul Blog della poetessa Donatella BISUTTI
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Commento di Niva LORENZINI
Salvatore Romano,
La Spoon River dei migranti
Quella di Salvatore Romano è poesia che narra, con sobrietà e realismo, una delle tragedie che più sconvolgono il nostro presente. Lo fa con parole scandite, sillabate che, sulle tracce di un Edgar Lee Master approdato alla cronaca dei nostri giorni, scolpiscono nomi di migranti, li incidono sulle pagine come su lapidi verbali. Sono nomi di persone legate a un mondo agreste violentato e distrutto dalle bombe di guerra, semplici nomi posti a titolo di racconti mutili, concisi, costruiti su gesti, ricordi, emozioni acustiche e visive.
Nei modi di un romanzo breve, il racconto in versi si articola in due momenti, il primo dislocato in uno spazio di superficie (quello di un villaggio che accoglie microstorie di vita quotidiana sorpresa dalla morte), il secondo in uno spazio di profondità (il fondo del mare, approdo di cadaveri dei migranti e di sfollati dai villaggi distrutti). L’io che racconta si fa in entrambi i casi testimone di morte, la propria e quella degli altri: un io-personaggio che, sepolto nella terra inzuppata, con labbra bagnate di sangue e il cuore spappolato, racconta a se stesso il proprio morire, il proprio, leopardiano, scomparire dalla terra, il non più esistere nella quotidianità dei giorni, sui quali rintocca, a eco, la parola morte (così in Lapide di Ziyad: “La mia voce si era arresa alla morte”, o in Scheggia della bomba intelligente: “Giaccio tra pietre insanguinate e scorie di morte”, o in Lapide di Taamir: “disperso nella nebbia di morte”). Ma è insieme, quell’io, un sicuro testimone di vita: la semplice vita – ha scritto un poeta a me caro, Antonio Porta - , quella del nascere e del morire, rinascere e volare via, con le emozioni, i suoni, i colori delle cose (“Raccolgo alghe sul fondale / Mentre sogno che siano rose e gerani”: si chiude così la Lapide di Leila, poetessa). E non è un caso che il breve racconto in versi di Salvatore Romano si chiuda celebrando la parola di poesia che sempre, nel contatto con la pagina, collide, si frantuma, affonda e riemerge, per farsi, ogni volta, testimone durevole del presente.
Niva Lorenzini
clicca sull'immagine e leggi la recensione di Giulia MANZI pubblicata sulla Rivista Letteraria -ARGO-
RECENSIONE DI GIORGIO LINGUAGLOSSA
Leggendo tanta poesia encomiastica di oggi mi assilla il dubbio che un eccesso di profumazione, un sovrappiù di lucidatura del pavimento, delle suppellettili, dell’argenteria e degli stivali di pelle non comporti anche il sospetto, in chi osserva dal di fuori, che dentro l’appartamento profumato e lindo con deodorante da supermarket non si nasconda, in qualche armadio, il cadavere messo sotto naftalina di qualcuno di famiglia. Insomma, se questo eccesso di deodorante non serva che a nascondere il lezzo ingombrante e intollerabile di un cadavere. E allora mi viene voglia di indagare oltre la cortina di nebbia profumata di deodorante, al di là delle lucidature dell’argenteria per scoprire l’innominabile cadavere che si cela da qualche parte, nascosto in qualche latèbra del soggiorno di casa. Allora, frugo negli armadi, nelle dispense, nei cassetti delle credenze, e infine apro le finestre perché voglio far entrare un po’ di aria fresca... mi viene il sospetto che tutta quella modanatura, quella lucidatura, quella profumazione altro non sia che Kitsch. Ottimo, metallico, rassicurante Kitsch. Invece il tuo libretto emana aria di casa, aria di campagna, di piccola città di provincia, ci trovo un sentimento vero, verace, terragno di una esistenza storica, una sorta di «ballata» che va nel «tempo a ritroso». Anche la confezione della plaquette è elegante e terragna insieme, con quel cartone di pacco postale che è l'involucro del libretto semi nascosto all'interno, come una perla o una pietra preziosa... (Giorgio Linguaglossa)
12 dicembre 2017 - Firenze
intervista all'autore
CAVALIERE
dell'Ordine "Al merito della Repubblica Italiana"
TEATRO
TESTI TEATRALI INVEROSIMILI, SCRITTI E POI LASCIATI DECANTARE COME VINO NELLA BOTTE.
MESSI SUL FOGLIO DI CARTA DOPO L'ASSAGGIO SOSTANZIOSO, DI FALANGHINA E GRECO DI TUFO
SCENA I
Monologo di Pulcinella
PULCINELLA: La maschera! I banditi indossano la “maschera”. L’indossano i mestieranti, gli ipocriti, quelli che ti chiedono il voto, il venditore, il parcheggiatore abusivo. L’indossa il truffatore, il politico che razzola negli scanni e fa il pianista, il vescovo che chiude i grandi cancelli e la porta ai pezzenti.Altri roditori: figure nere abituate all’ombra. Pigmei nell’anima. Piccoli e incensurati molluschi, indossano “la maschera”.Io la indosso per costrizione ma ora la voglio tenere appesa al collo. Così, come il Cristo viene simboleggiato dai legni della Croce, io voglio tenere questa maschera a somiglianza di quei legni, come simbolo della mia crocifissione. Direte che è poca cosa. Penserete che prendere a prestito “La maschera” per costruire una storia, è un motivo che non sta in piedi. Mi accuserete, forse, di allungare il vino con l’acqua. Ebbene, non è così! Bisogna che, una buona volta e per sempre, la smettiamo con queste immagini preconfezionate dal pregiudizio. Non esistono storie giuste e storie sbagliate. Non esistono situazioni importanti e situazioni banalmente ordinarie. Esiste la storia di ognuno di noi che, seppure vissuta senza grossi rumori, resta la storia della vita di un uomo. Quindi non accusatemi di prendere a prestito un’ovvietà. Non state lì a chiedervi per l’ennesima volta se sia giusto o no condurre una lotta. Venite con me a vivere questo capitolo e abbandonatevi all’ascolto di questa storia.A mio modesto parere è proprio la Maschera, questo “prestito”, che può assumere una dignità tale da poter simboleggiare i miei secoli di vita, e quindi, di qui a poco, in collaborazione con amici e non, su questo palcoscenico, rappresenteremo la caduta della “Maschera” e l’inizio, spero, del “Viso”. Qualunque esso sia. Che sia tagliato a metà. Che sia impoverito dall’invidia o che sia arricchito dai sorrisi onesti. Che sia brutto o bello. Che abbia la malinconia di un amore finito o che abbia l’allegria di una gita in bicicletta. Sia esso ricoperto dai sudori o dai dolori, sia comunque il “viso”.
TEATRO
Caro Salvatore,
Tu sei bravo, davvero. E' raro.
Buona estate
Margaret Mazzantini
POESIA
Caro Salvatore, grazie di questo dono "poetico"... Mi hai commosso
Margaret Mazzantini
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grazie per queste poesie piene di generosità e stupore.Buon lavoro e auguri, daniela
Daniela Attanasio